Storia
della "Società Ricuperi Marittimi", dei suoi
uomini e delle sue navi.
a cura di PAOLO SERRAVALLE
La storia della SoRiMa cominciò e si sviluppò,
come ogni altra umana impresa, in un particolare periodo storico.
Concluso questo finì anche la sua storia.
Le circostanze e i fatti che ne determinarono
fortune e sfortune appartennero ad un ben determinato
intervallo temporale.
Se le stesse persone fossero nate vent'anni prima o dopo la
loro storia sarebbe stata completamente diversa. Non è
corretto né sensato considerare oggi fatti e comportamenti
delle persone dell'epoca senza calarsi in quel particolare momento.
Ai giorni nostri le persone e i contesti sarebbero completamente
diversi ed è perciò perfettamente inutile giudicare
uomini e fatti con le conoscenze e le regole di oggi sia in
campo scientifico che tecnico, umano o sociale.
Vediamo di tornare a quell'epoca per disporre di un corretto
punto d'osservazione.
I primi due decenni del secolo scorso (senza scendere
troppo nei particolari) furono segnati da una disastrosa
guerra mondiale che cominciò ad impiegare
i primi mezzi tecnologici (carri armati, dirigibili, aeroplani,
sottomarini e siluri) e i primi mezzi di distruzione di massa
(gas tossici, lanciafiamme e mitragliatrici). Nel contempo le
strategìe belliche erano, in parte, ancora di stampo
ottocentesco; schieramenti, avanzate collettive e guerra di
trincea erano le più diffuse tecniche di scontro. Comportamenti
cavallereschi e gas tossici, ideali patriottici e mitragliatrici,
muli e cavalli contro mezzi meccanici cingolati e armati stentavano
a raffrontarsi.
L'Italia era un paese prevalentemente agricolo e l'analfabetismo
era diffusissimo, il popolo credeva ciecamente nel Re e nella
religione. La Patria era sacra ed intoccabile. E giovane. L'unità
d'Italia nel 1915 compiva soli cinquantaquattro anni. La "politica"
era mercanzia per pochissime persone istruite ed inserite, per
lo più ereditariamente, negli ambienti governativi.
Pur in questo contesto cominciarono tuttavia a farsi largo notevoli
sviluppi tecnologici.
La generazione e l'impiego dell'energia elettrica, l'uso delle
caldaie a vapore per azionare turbine, la costruzione di nuove
strade e ferrovie, la diffusione dei collegamenti telefonici
e l'evoluzione dei collegamenti radio sia a scopo commerciale
che come mezzo di comunicazione contraddistinsero il secondo
decennio del novecento. Lo sviluppo industriale italiano, pur
arrancando rispetto a quello di altri paesi (USA, Inghilterra
e Germania), non restò fermo. Automobili, ferrovie, aeroplani
e navi ebbero un notevolissimo incremento in quel periodo. Le
fabbriche e i cantieri cominciarono a produrre a ritmi serrati
e a far uso intensivo di mano d'opera che quasi sempre proveniva
dal settore agricolo e che necessitava d'essere formata ed addestrata.
Orari di lavoro e vita di fabbrica avevano veramente molto poco
in comune con quelli d'oggi. Non esisteva nessuna organizzazione
sindacale e "il padrone" aveva carta bianca. Il suo
comportamento era dettato solo dalla sua etica personale.
Il licenziamento d'un operaio non provocava praticamente alcuna
reazione così come improbabili erano le conseguenze derivanti
da incidenti sul lavoro, anche gravi. Il "padrone"
più coscienzioso e umano si arricchiva di meno, quello
più "schiavista" accumulava denaro alle spalle
di maestranze bistrattate e sfruttate.
É pur vero che avviare aziende ed imprese non era alla
portata di tutti. I denari si dovevano avere o si potevano avere
a prestito da banche o da ricchi investitori in cambio di solide
garanzie ed è altrettanto vero che un lavoro in fabbrica,
pur massacrante e mal remunerato, rendeva molto di più
che faticare nel settore agricolo sotto altri padroni, giacchè
il "povero" non possedeva per definizione terreni
e fattorie. Quindi, tutto sommato, lavorare in una fabbrica
o in un cantiere offriva maggiori possibilità di mantenimento
d'una famiglia rispetto al lavoro stagionale nelle campagne.
A questo panorama va anche aggiunto l'instaurarsi del regime
Fascista (1922) sul quale sono stati versati mari d'inchiostro
e del quale è inutile qui trattare ulteriormente. Si
ricordi però che sotto la sua ègida notevoli furono
gli impulsi nei settori industriali e tecnici pur spesso motivati
da esecrabili successivi scopi bellici e che sotto tale regime
nacque la prima forma di previdenza sociale. Il lavoratore che
cessava la sua opera per raggiunti limiti d'età o per
motivi di salute finiva per cadere in povertà o per gravare
sulla già miseranda famiglia. Con la fondazione dell'I.N.P.S.
si cominciò a pensare al futuro d'ogni lavoratore. Se
sia stato un raro merito di quel regime dal fosco destino o
un semplice caso non è qui il momento né il luogo
per trattarne.
Tutta questa premessa è necessaria a quanti coloro ignoravano
tale scenario umano nel quale si andò ad innestare la
storia che ci accingiamo a narrare.
Come
s'è detto, nei primi decenni del novecento si ebbe un
notevolissimo sviluppo della cantieristica. Si ricordi che erano
ancora in esercizio i velieri e che il piccolo cabotaggio, ossia
il trasporto marittimo costiero era ancora effettuato con imbarcazioni
a vela o con rari piccoli motori asfittici e poco affidabili.
Le grandi navi d'acciaio cominciarono a diffondersi specialmente
per il trasporto passeggeri; chi voleva cercare un'alternativa
alla vita di cui abbiamo trattato partiva alla volta del nord
o sud America portando una valigia legata con lo spago che conteneva
pochi stracci e molte speranze. Così ci s'imbarcava sui
piroscafi sperando d'arrivare sani e salvi. Purtroppo ciò
non sempre accadeva. I disastri navali erano all'ordine del
giorno e non risparmiavano nessun settore della marineria. Navi
militari e mercantili, piccole o grandi, di legno o metalliche
andavano a fondo senza distinzioni col loro prezioso carico
di vite umane o di merci. Innumerevoli furono gli affondamenti
celebri (Titanic, Lusitania ecc.) o quelli anonimi di unità
senza storia o, ancora, altri tenuti sotto segreto per il loro
carico di provenienza o destinazione poco virtuose o inconfessabili.
Il loro recupero era pressochè impossibile. A meno che
non affondassero sotto costa o si incagliassero a breve distanza
da essa, la nave e il carico venivano considerati pressochè
perduti per sempre. Tra i sopraddetti sviluppi tecnologici di
quegli anni cominciò a farsi strada la possibilità
di esplorare gli abissi e quella di poter compiere lavori a
profondità superiori a quelle raggiungibili in apnea,
ossia una ventina di metri e per alcuni minuti.
Si cominciò quindi a perfezionare idee empiriche già
studiate nei secoli scorsi ma sempre abbandonate per mancanza
di materiali e di tecnologìe adatte. All'epoca non esistevano
materiali flessibili ma resistenti alle grandi pressioni subacquee;
a dieci metri di profondità l'acqua esercita una pressione
di 1 kg. per ogni centimetro quadrato, a cinquanta metri la
pressione sale a 5 kg/cmq. Su tutta la superficie corporea la
pressione diventa veramente notevole. Si erano presi in considerazione
cuoio e altri materiali ma nessuno risultò mai idoneo.
L'uso della gomma cominciò a farsi strada ma le tecnologie
di stampaggio e di iniezione erano ancora primitive, al contrario,
le tecniche di fusione del bronzo e di altri metalli per la
costruzione dei caschi e delle flangiature stagne erano già
ad un ottimo livello. Un altro problema di grande importanza
fu lo studio delle reazioni dell'organismo umano sottoposto
a pressioni per cui non è predisposto.
Di particolare importanza fu lo studio del comportamento dei
gas disciolti nel sangue alle varie pressioni. L'embolìa
gassosa ovvero la formazione di bolle di gas normalmente disciolto
in circolazione alla pressione atmosferica fu causa di morti
e lesioni permanenti allora poco comprese e difficilmente evitabili
e curabili. I primi palombari furono veri pionieri la cui vita
era costantemente in pericolo.
In Italia come altrove si ebbero palombari più o meno
organizzati e specializzati e, pur dopo altri paesi europei,
si ebbe infine la nascita di una vera impresa dedicata ai lavori
subacquei. Anche se non fu la prima in ordine cronologico lo
fu certamente nella scala dei successi raggiunti e per il valore
dei suoi uomini. Questa impresa fu la So.Ri.Ma, Società
Ricuperi Marittimi con sede in Genova.
So.Ri.Ma nacque il giorno 11 ottobre 1926, con un capitale sociale
di Lit.1'309'500 e con sede nel Palazzo della Nuova Borsa in
Piazza De Ferrari.
Ne fu fondatore il comm. Giovanni Quaglia
nato
a Diano Castello (IM) nel 1881 e trapiantato a Genova, ne era
l'amministratore delegato, gli altri soci erano minori azionisti.
Il Quaglia si diede all'attività di armatore fin dall'epoca
della prima guerra mondiale armando una piccola flotta di navi
a vapore per il trasporto di materiale bellico. Alla fine del
conflitto fu tra i primi armatori europei ad avviare una flotta
di navi petroliere.
Il settore dei recuperi marini dovette sembrare ai fondatori
un vero Eldorado e in effetti aveva le prerogative per esserlo.
Carichi più o meno preziosi, navi di possibile rimessa
in galleggiamento e servizio, relitti in attesa di ispezioni
e perizie erano là adagiati sui fondali in attesa di
sfruttamento.
Certamente le prospettive c'erano ma così come non erano
a facile portata per altri non lo erano nemmeno per la giovane
SoRiMa. Si trattava di poter disporre di alcune navi di sufficiente
stazza e attrezzate per il sollevamento di ingenti carichi,
di equipaggi addestrati, di attrezzature per immersione e, soprattutto
di esperti palombari. In più serviva una sede amministrativa
con un minimo d'impiegati per l'amministrazione, le necessità
d'armamento, il contatto con le provveditorie marittime e, ovviamente,
con la clientela. Insomma, una struttura dai costi notevoli.
Per l'acquisto delle navi e delle attrezzature, per l'arruolamento
degli equipaggi e degli stati maggiori
in fondo bastava la necessaria disponibilità economica
e qualche amministratore d'esperienza alla direzione, per il
settore subacqueo però la faccenda era assai più
complessa. Trovare palombari esperti e già operativi
e disposti a rischiare ogni giorno la vita non era cosa semplice.
Qui la fortuna, come da proverbio, venne in aiuto all'audace
Quaglia. Un giorno del 1927 si presentò nel suo ufficio
un massiccio giovane signore a nome Alberto Gianni da Viareggio,
esperto palombaro dotato di una piccola nave, la Naiade, già
attrezzata per le immersioni. Al momento, sia lui, che il suo
equipaggio erano in attesa d'impiego. Vera musica per le orecchie
del Quaglia al quale non interessava minimamente la piccola
nave ma il gruppo di palombari che in seguito si rivelò
essere il meglio del meglio.
Giovanni Quaglia, persona oltremodo vigile e astuta, era ben
inserito negli ambienti del potere dell'epoca, poteva contare
su buoni appoggi nell'ancor giovane ma potente e totalitario
regime fascista e aveva già preso contatti con la tedesca
Neufeldt & Kuhnke nota produttrice di scafandri per palombari
e relative attrezzature di cui aveva già ottenuto la
rappresentanza esclusiva per l'Italia. Inoltre, per prepararsi
il campo d'azione, aveva chiesto e ottenuto in forza di legge
dal governo fascista l'esclusiva per il recupero di relitti
bellici italiani giacenti ad oltre 45 metri di profondità.
Tale proprietà era stata fino ad allora prerogativa dell'Istituto
Nazionale delle Assicurazioni.
Con l'arruolamento di Alberto Gianni e dei palombari viareggini
la "nave" So.Ri.Ma vide spostare il suo telegrafo
di macchina dal "pronti" all' "avanti tutta".
Cominciava la navigazione.
Le prime navi approntate per iniziare l'attività furono
tutte battezzate con nomi che indicassero la loro propensione
a ghermire oggetti dal fondo: Artiglio,
Rostro e Raffio. In seguito, come si vedrà, furono seguite
da Rampino, Rastrello e Arpione. Le navi non furono commissionate
e costruite ex-novo ma acquistate usate e modificate alla bisogna.
Potenti argani e verricelli, elettromagneti e attrezzature d'appoggio
per i palombari furono le dotazioni di base.
Sulle navi So.Ri.Ma furono anche installate stazioni radiotelegrafiche,
allora non diffusissime su navi di quella stazza. L'Artiglio
ebbe il nominativo internazionale IBRD, Rostro ICFI, Rampino
ICEB, Raffio IKXM, Arpione IBDF, Rastrello (non noto).
La dotazione di una stazione radiotelegrafica di bordo comportava
la spesa iniziale dell'acquisto e dell'installazione nonché
l'assunzione a ruolo dei "marconisti" (ossia i radio-operatori)
e le spese "burocratiche", in compenso offriva la
possibilità non trascurabile di tenersi in contatto con
la terra ferma e, all'occorrenza, di chiedere aiuto in caso
d'emergenza.
Delle imprese dell'Artiglio I, finita tragicamente a fondo con
quasi tutto il suo equipaggio per l'esplosione del carico della
Florence il cui relitto stavano svuotando, dell'Artiglio II
e delle loro sorelle si sa molto e svariati libri sono stati
scritti sull'argomento quindi riparlarne qui, tutto sommato,
sarebbe un'inutile ripetizione. A chi fosse interessato sarà
facile trovare pagine web e libri dedicati alle loro imprese.
Si ritiene che in questa sede sia più opportuno trattare
della società armatrice e dei suoi comportamenti ora
definiti pionieristici ed eroici, ora meschini e capitalistici.
Come al solito probabilmente la verità sta nel mezzo.
Descrivere il comm. Giovanni Quaglia ai giorni nostri non è
facile. Come già detto bisogna calarsi nel contesto di
quegli anni. Di certo si trattava di un personaggio figlio del
suo tempo, uomo d'indubbia intelligenza e lungimiranza era certamente
dotato del senso degli affari e di una forte auto-stima. Scaltro
e spregiudicato nell'agire, savoir-faire e comunicativa di certo
non gli mancavano, caparbio, a volte paterno, a volte "padre-padrone",
capace di compiere bei gesti e meschinerie con la stessa non-chalance.
In grado di muovere le pedine giuste per ottenere facilitazioni
dal Governo italiano o per accordarsi con autorità straniere,
di lui si disse veramente tutto il bene e tutto il male possibile.
I suoi marittimi ebbero sempre a rinfacciargli
di non aver mantenuto la parola nel corrisponder loro i premi
promessi in caso di importanti recuperi (come l'oro e l'argento
dell'Egypt), e quando provarono ad organizzarsi per protestare
si scontrarono con un muro granitico che non gli concesse nulla
oltre alla paga base, pena: il licenziamento.
Lo stesso tragico affondamento dell'Artiglio I fu dovuto alla
detonazione improvvisa di una gran quantità di esplosivo
contenuto nell'affondata nave Florence e fu causato dalla distanza
troppo breve tra l'Artiglio e il sottostante relitto. Fatto
da imputarsi all'imprudenza dell'equipaggio che impiegava cariche
di tritolo per smantellare le lamiere di stiva del relitto ritenendo
l'esplosivo ormai deteriorato dall'acqua, e quindi inerte. Ciò
in parte corrispondeva al vero ma è altrettanto vero
che il cavo impiegato per collegare la dinamo di bordo ai detonatori
delle cariche si faceva, a causa degli scoppi, via via sempre
più corto. Malgrado le ripetute richieste d'acquisto,
una nuova bobina di cavo non giunse mai a bordo costringendo
la nave ad avvicinarsi sempre più al relitto sottostante
con i derivanti rischi e l'infausto risultato che ne seguì.
La stessa parsimonia nell'acquistare forniture di bordo spesso
si riscontrò nelle cambuse e, in più di un'occasione,
costrinse gli equipaggi a vitto scadente e insufficiente.
Insomma, lavorare per il Quaglia non dovette essere una faccenda
facile e priva di problemi. D'altronde è pur vero che
nei lunghi periodi privi di ricavi derivanti dai recuperi e
dovuti sia alle intemperie meteo-marine che alla mancanza d'incarichi,
So.Ri.Ma doveva comunque far fronte a tutte le spese di armamento
delle sue navi compresi gli stipendi di tutti i marittimi e
del personale di terra. Non da poco erano anche le spese per
la riparazione delle attrezzature danneggiate dal mare o durante
i lavori, così come la costruzione di nuove benne e attrezzature
sempre più perfezionate per i recuperi (torrette butoscopiche
e scafandri). Inoltre gli utili non erano assolutamente certi
così come incerti erano i ritrovamenti di relitti produttivi.
Insomma, tenere in piedi la baracca non doveva esser facile.
Certamente quando gli utili arrivarono e in gran quantità,
come nel caso dei lingotti d'oro e d'argento dell'Egypt e del
gran quantitativo di monete d'oro in essa contenute, i premi
non arrivarono né per i valorosi e indispensabili palombari
né per i comuni marittimi. Né fu pensabile per
il Quaglia che l'equipaggio si fosse auto-premiato prelevando
preziosi souvenirs: l'onestà degli equipaggi era incontestabile
e mai vi fu un rilievo in tal senso.
Insomma, il comm. Quaglia fu un personaggio controverso. Un
po' avventuriero romantico, un po' faccendiere, un po' Arpagone
e un po' Re Mida, un po' Capitano coraggioso e un po' Uncle
Scrooge.
Ebbe ragguardevoli riconoscimenti ufficiali da parte della Corona
Inglese e dal Governo Francese. Il Re d'Italia gli conferì
alti titoli civili come: Cavaliere di Gran Croce della Corona
D'Italia e il Titolo Sabaudo di Comm. dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Elargì donazioni al suo Comune natale per la fondazione
di un ospedale-casa di riposo tuttora esistente e per altre
opere.
Difficile quindi darne una definizione univoca. Delle mirabili
conquiste sottomarine della So.Ri.Ma si parla ancor oggi, sulle
venali rivendicazioni, sulle liti e le ripicche, sulle delusioni
e il sangue amaro inghiottito dai palombari e dai marittimi
è calato il polveroso velo del tempo
Giovanni
Quaglia morì settantaquattrenne a Genova il 7 dicembre
del 1955 (a esattamente 25 anni dal disastro dell'Artiglio)
e in breve tempo finì anche la storia della So.Ri.Ma
ormai priva del suo nocchiero e superata dai tempi, dalle nuove
tecniche e da nuovi uomini. La vedova del Quaglia, signora Tina,
sia per onorare la memoria del marito che, forse, per addolcirne
il ricordo nell'immaginario collettivo, elargì importanti
somme ad enti pubblici e donò costose attrezzature al
Pronto Soccorso dell'Ospedale San Martino di Genova su una parete
del quale esiste ancor'oggi un bassorilievo di marmo che ricorda
il Quaglia e le imprese della So.Ri.Ma.
GLI
EQUIPAGGI
COGNOME |
NOME
|
RUOLO
|
LUOGO
E DATA DI NASCITA
|
MORTO
IL
|
NAVE
|
NOTE
|
ALBAVERA
|
Cesare |
Capo
Macchinista |
Ovada
(AL) |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
AMBROSINI |
Giuseppe |
Direttore
di macchina |
Genova |
|
|
ARPIONE
|
1933
|
AMORETTI |
Maurizio |
Cuoco |
|
|
07.12.1930
|
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 |
ARCURI |
Antonio |
Radiotelegrafista |
Genova |
|
|
ARTIGLIO
1
|
|
ARMATI |
Achille |
Operaio
Meccanico |
Diano
Marina |
|
|
ROSTRO
|
1933
|
BARGELLINI |
Alberto |
Palombaro |
Viareggio |
|
07.12.1930
|
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 |
BARGELLINI |
Salvatore |
2°
Carpentiere |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
BARSELLA |
Fausto |
Marinaio |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
BERTOLOTTO
|
Giacomo |
Comandante |
|
|
07.12.1930
|
ARTIGLIO
1
|
dopo
Tomei Disperso Artiglio 1 |
BOERO
|
Luigi |
Radiotelegrafista |
Genova |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
BONUCCELLI |
Catone |
Palombaro |
|
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
BRESCIANI |
Felice |
Fuochista |
|
|
07.12.1930 |
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 |
BRIASCO |
Iride |
1°
Fuochista |
Diano
Marina |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
CARLI |
Giovanni
B. |
Comandante |
Imperia |
|
|
ARTIGLIO
2
ROSTRO
|
|
CORTOPASSI |
Romualdo |
Marinaio |
Peri
- Brasile |
|
07.12.1930 |
ARTIGLIO
1
|
Vittima
Artiglio 1 |
CORTOPASSI |
Vailante |
Marinaio |
Peri
- Brasile |
|
|
ARTIGLIO
1
|
Ferito
Artiglio 1 |
CULPISTI |
Nazareno |
Nostromo |
|
|
|
ARTIGLIO
1
|
|
DEL
PINO |
Walter |
Giovanotto |
|
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
DE
JANA |
Antonio |
1°
Fuochista - Ingr. |
Sardegna |
|
07.12.1930 |
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 |
DE
MELGAZZI |
Luigi |
Radiotelegrafista |
Motta
Visconti (MI) |
1899
|
07.12.1930 |
ARTIGLIO
1
|
dopo
Arcuri Disperso Artiglio 1 |
DE
NARDI |
Tiziano |
Capo
Macchinista |
Camogli |
|
|
ARTIGLIO
1
|
detto
" il Capo " |
DEL
DOTTO |
Duilio |
Marinaio |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
DEL
PISTOIA |
Emilio |
Marinaio
-Pennese |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
DEVOTO |
Giuseppe |
Radiotelegrafista |
Chiavari |
|
|
ROSTRO
|
1933 |
DI
GENNARO |
?
|
2°
Fuochista |
|
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
DOMENICI |
Carlo
Quarto |
Palombaro |
|
|
|
ARTIGLIO
1
|
|
FERRARI |
Giglio |
Cuoco |
Ameglia
(SP) |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
FORESI |
Augusto |
Cameriere |
Imperia |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
FRANCESCHI |
Aristide |
Secondo
palombaro |
|
|
07.12.1930
|
ARTIGLIO
1
|
Vittima
Artiglio 1 |
CASTALDI |
Nicolò |
Carpentiere |
Diano
Castello |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
GHIGLIONE |
Emanuele |
Fuochista |
Andora |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
GIANNI |
Alberto |
Capo
Palombaro |
Vuareggio |
1891
|
07.12.1930
|
ARTIGLIO
1
|
Vittima
Artiglio 1 |
GOVINO |
?
|
Caporale |
Viareggio |
05.6.1902
|
1972
|
ARTIGLIO
2
|
|
LATARULLI |
Marino |
Comandante |
Mola
di Bari |
|
|
ROSTRO
|
1933 |
LENCI |
Giovanni |
Palombaro |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
MALFATTI |
Adalgiso |
Marinaio |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
MANCINI |
Raffaello |
Palombaro |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
ROSTRO
|
|
MARTINELLI |
Guido |
Palombaro |
|
|
|
ARTIGLIO
1
|
|
RAFFAELLI |
Amedeo |
1°
Ufficiale |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
1-2
|
Ferito
Artiglio 1 |
RAFFAELLI |
Mario |
3°
Palombaro |
|
|
|
ARTIGLIO
1-2
ROSTRO
|
poi
Capo - Cugino di Amedeo |
RAMELLI |
Amerigo |
Aiuto
cuoco |
Viareggio |
|
15
anni
|
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 |
SARTINI |
Angelo |
Cuoco |
Viareggio |
|
|
|
detto
" zio Angiò " Padre di Giulio |
SARTINI |
Giulio |
Marinaio |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
1-2
|
Ferito
Artiglio 1 |
SERRA |
Gavino |
Caporale |
Tempio
Pausania |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
SODINI |
Donato |
Palombaro |
Viareggio |
|
|
|
|
SODINI |
Fortunato |
Palombaro |
Viareggio |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
STRETTI |
Inno |
Garzone
di cucina |
Ameglia
(SP) |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
TEDOLDI |
Enrico |
Fuochista |
|
|
|
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 |
TOMEI
|
Mario |
Comandante |
|
|
|
ARTIGLIO
1
|
|
TORRENTE |
Gennaro |
Carbonaio |
Palermo |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
ULIVIERI |
Costante |
Marinaio |
Cavo
nell'Elba |
|
|
ARTIGLIO
1
|
Disperso
- Artiglio 1 -- ? -- |
ULIVIERI |
Lorenzo |
Marinaio |
Cavo
nell'Elba |
|
|
|
|
VERDA |
Paolo |
Ingrassatore
- Fuoch. |
Diano
Marina |
|
|
ARTIGLIO
2
|
|
VIVALDI |
Arturo |
Caporale
Macchina |
Riomaggiore |
|
|
ARTIGLIO
1
|
|
X
|
Fausto |
|
|
|
|
|
|
X
|
Mario
- ? - |
|
|
|
|
|
Ferito
Artiglio 1 |
X
|
Nicola |
1°
Carpentiere |
|
|
|
ARTIGLIO
2
|
Era
detto "il maestro" |
X
|
Vincenzo |
2°
Fuochista |
Sardegna |
|
|
|
|
Bibliografia:
-Monografia
So.Ri.Ma
Swan Press Chelsea 1932 -ristampa anastatica a cura della Fondazione
Artiglio Europa- www.premioartiglio.it
"La
nave mercantile e il suo mondo"
Ing. P. Contaldi e Com. E. Porcari
Ediz. "La Critica", Roma 1930
"L'Artiglio ha parlato"
Silvio Micheli
rist. Mauro Baroni Editore , Lucca 2001
Siti e AA.VV.
Si
ringraziano
il presidente della Fondazione Artiglio Europa dott. Francesco
Sodini (figlio del noto palombaro dell'Artiglio, Fortunato Sodini)
e il dott. Boris Giannaccini (Storico della Fondazione Artiglio)
per la loro cortesia e per la disponibilità.
( Ved. www.premioartiglio.it ) |